Di Paola Casulli |
L’Islanda è terra di cavalli in libertà.
Non sono affidabili i cavalli in libertà. L’estasi per loro non ha spazio. Non ha debolezza. Si inseguono, si toccano i musi a vicenda, scalciano, restano immobili e galoppano. Siamo dei reietti noi, affidabili e concreti. Senza verità, con l’unica salvezza di un rifiuto. Loro no. Sono come i giorni di fine estate in Islanda, frizzanti e trasparenti. Vigorosi come il fuoco su cui galoppano. Lo sanno, i cavalli d’Islanda, che i loro zoccoli sono forgiati nelle profondità di un cratere, sono radici di una terra aspra, sono acqua che zampilla.
Li guardo a lungo. Li avvicino e li accarezzo. Sono mansueti. La mansuetudine della libertà mai negata. Il sogno di un pensiero primario che sa di oceano e chiese color pastello. Qui, loro vivono. In un paesaggio dove la nebbia è trafitta da vette color dell’ocra e le lunghe spiagge sono spartito del vento e dove, attraversarlo, è come entrare in uno specchio capovolto, senza successione di oscurità o, nel suo contrario, un’oscurità dominatrice.
È per questo che i cavalli d’Islanda hanno lo stesso bianco catturato ai brividi di una assenza, lo stesso nero di un segreto inviolato.
testo e fotografia di Paola Casulli
@INCANTOerrante
I cavalli islandesi (Equus scandinavus) sono robusti, piuttosto piccoli, con una criniera lunghissima e molto folta.
Come altre razze mongole hanno cinque andature: fet, il passo, brokk, il trotto, stökk, il galoppo, skeið, l’ambio, e il tölt, la corsa leggera, tanto stabile da non essere quasi avvertita dal fantino.
Furono importati dalla Norvegia ed essendo l’unica razza sull’isola hanno mantenuto nei secoli la loro purezza.
Hanno un carattere mansueto e un fisico molto robusto, adatto al clima islandese e ai lavori pesanti.