Ho amato Ocean Vương, poeta e scrittore vietnamita, già per la sua prima, splendente raccolta di poesie Cielo notturno con fori d’uscita per la quale nel 2017 aveva ricevuto il prestigioso T. S. Eliot Poetry Award. Una collezione di 35 poesie che parlano di migrazione, guerra, violenza, sesso, omosessualità. Lo stesso Michael Cunningham, nella prefazione, lo aveva definito un nuovo grande poeta e aveva descritto le sue poesie al contempo liriche e colloquiali.
Un giorno amerò Ocean Vương
Ocean, non avere paura.
La fine della strada è tanto distante
che è già alle nostre spalle.
Niente paura. Tuo padre è tuo padre soltanto
finché uno di voi non se ne dimentica. Come le vertebre
non si ricorderanno le proprie ali
a dispetto di tutte le volte che le tue ginocchia
baceranno il lastrico. Ocean,
mi ascolti? La parte più bella
del tuo corpo è ovunque
si proietta l’ombra di tua madre.
Ecco la casa con l’infanzia
ridotta a un unico cavetto rosso, innesco di mina.
Niente paura. Basta che lo chiami orizzonte
& non lo raggiungerai mai.
Ecco l’oggi. Salta. Ti garantisco non è
una scialuppa di salvataggio. Ecco l’uomo
dalle braccia ampie abbastanza da accogliere
il tuo andartene. & ecco l’attimo
subito dopo spente le luci, in cui ancora scorgi
la flebile fiaccola tra le sue gambe.
E come la usi, ripetutamente,
per ritrovare le tue mani.
Hai chiesto un’altra chance
& ti viene concessa una bocca da cui svuotarti.
Non avere paura, gli spari
sono solo il rumore di gente
che cerca di vivere un po’ più a lungo
& non ce la fa. Ocean. Ocean –
alzati. La parte più bella del tuo corpo
è il luogo verso cui si dirige. & ricorda,
la solitudine è comunque tempo trascorso
insieme al mondo. Ecco
la stanza in cui ci sono tutti.
Gli amici morti che ti
attraversano come il vento
che soffia tra i sonagli a vento. Ecco una scrivania
con la gamba zoppa & un mattone
per farla durare. Sì, ecco una stanza
così calda & vicina al sangue
che giuro, ti sveglierai –
& crederai che questi muri
siano pelle.
Un giorno amerò Ocean Vương, pag.177 (Traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan) da “Cielo notturno con fori d’uscita”, La nave di Teseo, 2017
Non si può non amarlo ora, nel suo romanzo d’esordio, Brevemente risplendiamo sulla terra (On earth we’re briefly gorgeous). Anche qui, lirismo e discorsività collidono in modo potente e profondamente toccante. Solo che qui le immagini, così virulente dei suoi versi, trovano l’ampio respiro della prosa che fa da controcanto al dolore sommesso di chi chiede una tregua alla mostruosità umana della guerra, delle bombe e del Napalm.
Interessante il fatto che il titolo del romanzo sia il titolo di una delle poesie, tradotto nella versione italiana della raccolta come: “Sulla terra saremo per breve tempi stupendi”. In questo caso la traduzione è letterale e non interpretativa.
La storia di Ocean comincia negli anni Cinquanta, quando un ragazzo del Michigan si arruola nell’esercito statunitense e parte alla volta del Vietnam. Lui, che sarebbe diventato il nonno di Ocean, giunge in Vietnam e si innamora di una ragazza analfabeta delle risaie, dando alla luce tre bambine. Una di loro è la madre di Ocean, che con la caduta di Saigon è affidata a un orfanotrofio, per sfuggire alle persecuzioni del regime comunista. A 18 anni, la ragazza dà alla luce il piccolo Ocean. Ma è proprio in quei giorni che un poliziotto riconosce nei tratti della madre di Ocean una donna di razza mista, denunciandola e determinandone l’esilio dal Paese. Ocean e sua madre sono costretti a lasciare Saigon e a fuggire nelle Filippine, dove trascorrono alcuni mesi in un campo profughi con la prospettiva di partire alla volta degli Stati Uniti. Nel 1990 Ocean Vuong raggiunge gli Stati Uniti insieme alla madre e alla nonna Lang.
Little Dog, il protagonista di questo romanzo sperimentale di grande tensione, scrive una lunghissima lettera alla madre Rose, chiamata semplicemente Ma. Nel commovente dettaglio, affatto trascurabile che Ma non sa leggere e che dunque mai leggerà la lettera del figlio, si scorge l’elemento che rende il libro una sorta di documentario interiore in cui Little Dog traccia la storia della sua famiglia, segnata dalla guerra del Vietnam e dall’emigrazione negli Stati Uniti.
“Ciao Ma’,
ti scrivo per avvicinarmi a te, anche se ogni parola che butto lì è una parola in più che allontana. Scrivo per tornare indietro nel tempo, a quella piazzola di sosta in Virginia, dove in preda all’orrore ti sei messa a fissare quel cervo imbalsamato appeso sopra il distributore di bevande in lattina accanto ai bagni, le sue corna che ti ombreggiavano il viso. In macchina hai continuato a scuotere la testa. “Non capisco perché farlo. Non lo vedono che è un cadavere? Un cadavere deve andar via, non può rimanere appeso in quel modo per sempre.” Adesso ripenso a quel cervo, a come lo hai fissato negli occhi vitrei e neri trovando il tuo riflesso, trovando tutto il tuo corpo distorto in quello specchio inanime. Mi accorgo che a scuoterti non era stato quell’animale decapitato e appeso in maniera grottesca, ma la tassidermia che incarnava una morte che non finiva mai, una morte che continua a morire mentre ci passiamo accanto per svuotarci la vescica. Ti scrivo perché mi hanno detto di non iniziare mai una frase con perché. Ma non stavo cercando di formulare una frase, stavo solo cercando di liberarmi. Perché la libertà, almeno così dicono, non è altro che la distanza tra un cacciatore e la preda.”
Impossibile dunque non ravvisare un percorso fortemente autobiografico quello di Ocean Vương che, identificandosi con Little Dog alter ego dello scrittore, traccia la storia di una sopravvivenza individuale e collettiva non più alla guerra e al comunismo del luogo di origine ma all’emarginazione e all’intolleranza del luogo di destinazione. E lo fa affermando, con immagini indelebili che resteranno a lungo impresse nella memoria del lettore, quanto il personale sia inscindibile dal politico, come a dire che non si possono separare le nostre esistenze personali dal mondo in cui le viviamo. Ma lo fa anche convinto che un passato ereditato nel sangue possa diventare un presente dove piccoli frammenti di atti d’amore e di resilienza sono riverberi di bellezza tanto fragili e brevi quanto capaci di brillare anche nella solitudine e entro i confini dell’alterità. Un passo struggente descrive l’abitudine della madre di far bere al piccolo Little Dog bicchieri di latte americano per farlo crescere più solido e sicuro e Little Dog pensa: “Sto bevendo luce, pensavo. Mi sto riempiendo di luce. Il latte avrebbe cancellato tutto il buio dentro di me con una inondazione luminosa.”
I piccoli gesti d’amore, ai quali spesso si attribuisce una valenza miracolosa, e il rapporto simbiotico con la madre, sono ciò che si innesta come un fiore d’innocenza da preservare e custodire in questa storia di miseria, immigrazione e crudeltà dell’American Dream. “Ricordo di aver pensato che quello era il sogno americano mentre la neve scoppiettava contro la finestra e scendeva la notte, e noi andavamo a dormire, uno accanto all’altro, le membra incastrate intanto che le sirene gemevano nelle strade, le pance piene di pane e “burro”.
Molti i temi e le ossessioni che accomunano i due libri, quello di poesia e il romanzo. La violenza, l’identità, il riscatto, il corpo e l’appartenenza etnica. L’esclusione da una società, l’estraneità, la discriminazione, la dipendenza dalla droga dalla quale Vương dice di esserne uscito quando è entrato in una biblioteca e ha aperto un libro di Primo Levi che lo ha salvato. Anche la sua stessa identità e la “queerness” saranno il leitmotiv del romanzo. Ma non vissute come mascolinità tossica, omofobia interiorizzata, difficoltà ad accettarsi schiacciato dal peso della paura, vergogna e aspettative altrui. La sua omosessualità da prima odiata è alla fine inglobata.
In un’intervista a cura dello scrittore canadese Spencer Quong, rilasciata per il “The Paris Review”, alla riflessione sul fatto che il romanzo fa luce sull’amore e sul sesso tra uomini, tra un ragazzo bianco e un ragazzo asiatico in America, in particolare, Ocean risponde così: “Volevo arrivare alla gioia strana, ma ho scoperto che volevo farlo senza rinunciare alla presenza reale e perenne del pericolo che i corpi queer affrontano semplicemente esistendo. C’è una chiamata, giustamente, per la letteratura a fare più spazio alla gioia strana, o forse ancora più radicalmente, alla stranezza. Ma non volevo rispondere a quella chiamata creando una falsa utopia, perché la sicurezza è ancora rara ed estranea alle esperienze delle persone strane che amo, che sono anche spesso povere e sottoservite. Non volevo fingere di essere felice solo perché le persone eterosessuali erano stanche o annoiate della nostra lotta. Il romanzo insiste sul fatto che esiste il potere e, con esso, il libero arbitrio nella sopravvivenza – che include le tensioni interrazziali di cui parli – perché il trauma è ancora una realtà integrale per le persone queer. Ma questi corpi conoscono la gioia e la conoscono riconoscendo e onorando le tribolazioni sopravvissute. Spesso pensiamo alla sopravvivenza come a qualcosa che ci succede semplicemente, che forse siamo fortunati ad avere. Ma mi piace pensare alla sopravvivenza come risultato di un’autoconoscenza attiva, e ancor più di una forza creativa.”
E ancora, in un’altra intervista rilasciata per Vanity Fair, alla domanda se il suo corpo queer è sempre al centro della sua arte, Vương dice: “Non so se ne è il centro, ma ne è di sicuro il filtro, gli occhiali attraverso cui guardare tutto il resto. Da bambino pensavo che il mio corpo fosse un handicap. Oggi sono incredibilmente grato di avere questo sguardo. La queerness richiede sempre qualcosa di più, pretende sempre che qualcosa si trasformi. E quale modo migliore, per uno scrittore, che essere sempre pronto al fatto che il mondo possa cambiare davanti ai tuoi occhi?».
In questa storia in cui Little Dog/Ocean si integra senza rinnegarsi, si adegua senza perdersi, tutto è concepito attraverso una grande intensità e grazia e il giovane scrittore mette in campo un linguaggio tra estetica e emotività di forte sperimentazione espressiva. Da un utilizzo di immagini e metafore, come quella delle fragili farfalle monarca e dei loro viaggi, simbolo di tutti i fenomeni migratori, lo scrittore progredisce nella narrazione elaborando una scrittura sempre più concettuale, che diventa pura arte, elevando il trauma personale a pura poesia.
“Non so cosa sto dicendo. Penso di voler dire che a volte non so cosa o chi siamo. Ci sono giorni in cui mi sento un essere umano, mentre altre volte mi sento più come un suono. Tocco il mondo non a partire da me stesso, ma dall’eco di quel che un tempo sono stato. Riesci già a sentirmi? Riesci a leggermi?”
Vương, nel romanzo, utilizza la struttura kishōtenketsu, o trama senza conflitto, delle classiche narrazioni cinesi, coreane e giapponesi. La tecnica permette di avanzare nella storia procedendo attraverso quattro atti in cui il Ki è l’introduzione. Vengono stabiliti il carattere, l’impostazione, la situazione e altri elementi di base. Shō è lo sviluppo. Un’espansione dell’introduzione del primo atto. Non si verificano cambiamenti importanti. Ten è il Twist, il terzo atto. La storia si trasforma in una situazione contrastante, apparentemente separata. Ketsu è la conclusione. La storia si risolve, collegando tutti gli atti.
La chiave del kishōtenketsu è il Dieci che rappresenta un contrasto. Questo potrebbe generare nel lettore un senso di caos perché apparentemente privo di senso. La storia, dal carattere e dalla situazione stabiliti nel primo e nel secondo atto, gira verso uno sviluppo inaspettato. Questo è il punto cruciale della storia, lo yama ( ヤ マ ) o climax. In caso di più svolte nella narrativa, questa è la più grande. Questa terza parte, dunque, non è parte integrante della risoluzione della trama o dello sviluppo narrativo come nelle strutture occidentali. Solo nel quarto atto, infatti, la dislocazione del terzo atto è riunita per risolvere una connessione narrativa completa con la prima parte della storia.
Tutto, dal linguaggio alla vita di Ocean e dunque di Little Dog, l’evento traumatico, che segna una frattura nel tempo, ad un certo punto implode e si spezzetta per ricomporsi in un nuovo atto.
“Nel mondo occidentale vogliamo il trionfo o l’apocalisse, e abbiamo moltissime persone che, all’interno di questo panorama drammatizzato, soffrono di depressione. La cosa migliore non è avere un giorno felice o uno triste, ma un giorno viola, che è rosso e blu mescolati insieme. Mi chiedo se, nel 21° secolo, non sia molto più radicale desiderare semplicemente un giorno ok.”
Paola Casulli
@IncantoErrante