LO SPAZIO, IL VUOTO, LA PAUSA

Dopo un lungo percorso poetico, sono approdata alla fotografia come tentativo di opposizione alla parola, per certi versi rutilante, barocca, eccessiva di oggi.

Non fotografo perché ho necessità di aggiungere alla parola un’immagine che possa rafforzarla ma per sottrarre alla parola il suo peso in eccesso e cercare di restituirle una certa leggerezza.

E il viaggio in Giappone ha in qualche modo realizzato questo bisogno che avevo di astrazione, rarefazione, del visibilmente silente, dell’evocazione del vuoto. Nelle filosofie occidentali, e nel pensiero greco, da Parmenide in poi, il non essere è spiegato in una accezione metafisica che tende ad identificarlo con il Nulla assoluto, con il vuoto totale, identificato anche come horror vacui, la paura del vuoto. Dal latino nihil,  assenza, nulla negativo. Invece nel pensiero orientale, il non esserci  non rinvia al suo opposto ontologico o logico di esserci, ma rimanda ad una “assenza determinata”. Al “vuoto determinato”. Nel senso che questo “qualcosa che non c’è”, lo sto determinando come non essere nel momento in cui lo  nomino.

Questo spazio vuoto, considerato importante quanto lo spazio pieno in un equilibrio armonioso in cui non c’è un elemento che prevale sull’altro ma sempre in relazione reciproca di compenetrazione e trasformazione, si esprime nel concetto di ma. Elemento centrale di tutte le discipline artistiche orientali, il ma può essere considerato la categoria estetica giapponese per eccellenza, un elemento implicito ma fondamentale di ogni opera d’arte: solo grazie alla sua presenza le varie forme artistiche possono realizzare pienamente il loro potenziale estetico. 

Queste mie fotografie che ritraggono volutamente sempre la stessa porzione di una foresta di shirakaba sul finire della stagione dei ghiacci in Hokkaido, Giappone, sono la mia personale interpretazione del concetto giapponese di spazio, intervallo e vuoto. Un lavoro in cui ho cercato di rappresentare e creare un vuoto pieno di senso attraverso l’utilizzazione dello spazio bianco in cui inserire elementi anch’essi bianchi che rafforzassero il concetto. Infatti shirakaba è il nome giapponese per betulle bianche. Shira significa “bianco” mentre kaba è il kanji combinato per “legno” e “bellezza”, dando agli alberi di betulla bianca il significato poetico di pura bellezza elegante. 

Dalla loro soave fusione nella neve incontaminata durante l’inverno, ho dato voce a una poesia tutta visiva in cui la contiguità del vuoto rispetto al pieno è la via per quella che i taoisti chiamano “conoscenza suprema”. La capacità di cogliere la necessità del vuoto per la costituzione di ogni cosa. 

Paola Casulli 

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