Benares. La danza di Shiva

I tramonti sono colate di oro e rosa sulle cose e le persone. Le albe, un velo di grigi perlati con venature azzurre sulla “Grande Madre” o Gange che lambisce, maestoso, i gradini dei ghats. Di tanto in tanto, nella sera tarda, dopo che tutto è silenzio, ghirlande di calendule, fiori di loto rosa e piccole candele tremolanti, trasportate dalla corrente, galleggiano illuminando quel firmamento d’acqua. Recano con sé il pensiero di mille preghiere, di mille desideri ardenti. Quanto più lontano la corrente porterà la propria fiammella, tanta più prosperità si avrà. Ad esaudire o meno questi sogni ci sono divinità dalla pelle blu, dalle numerose braccia, dalla testa di elefante, di leone o di scimmia. Tutte, 330 milioni di dei rigorosamente censiti, scrupolosamente venerati, bellissimi e atroci. In un’ambiguità che è l’anima stessa della città di Benares. Chiamata anche Varanasi, è la città sacra al dio Shiva, il dio terribile che dissolve e distrugge i mondi, ma anche colui che li rigenera, li preserva e li sostiene in una polarità che non è mera scissione di ogni univocità ma coesistenza profonda di opposti tra ascetismo e sensualità, metafisica e mitologia. Anche noi, trasportati da quella forma di emulazione impossibile da evitare in certi luoghi magici, poniamo le nostre candele nell’acqua. I cestini di fiori che le contengono sembrano capovolgersi e non resistere alla corrente, ma poi, benché un po’ sbilenchi e già zuppi, si allontanano portando via con sé il nostro desiderio mai svelato.

Varanasi lumini votivi

Le giornate in aprile si rivelano stranamente caldissime. Si sfiorano i 42 gradi. Ci siamo svegliati poco prima delle cinque e ora, nella luce sognante di un’aurora ancora fresca e ventilata, navighiamo sul Gange.

Varansi dal Gange

Ci accompagna la nostra guida indiana di Varanasi. Un omino affabile in completo di lino color sabbia che risalta sulla carnagione olivastra. La pelle del viso, levigata nonostante l’età avanzata e i suoi occhi liquidi, scuri e immobili sono il suo segreto e forse quello di ogni indiano. – La luna di Benares !– Esclama ad un tratto – Indicando con l’indice il grosso astro ancora luminoso nel cielo già chiaro, mentre la piccola barca a remi che ci trasporta scivola silenziosa sull’acqua che ora ha i toni del tortora e del verde cupo. La nostra guida si fa chiamare Sergio. Ovviamente il suo nome non è che una gentile facilitazione alla memorizzazione e alla pronuncia di nomi a noi consueti e tuttavia l’intento, che pur si pone come una mano che si offra cordialmente, non è accettato dalla mia mente e dal mio spirito nella condizione più appagante di comprendere quel meraviglioso mondo esotico pur nelle sue contraddizioni e ambiguità.

Varanasi ghat al mattino

Lungo i sette km di riva sacra, Sergio, ebbene sia questo il suo nome, ci edotta e ci spiega che solo una delle rive è sacra. Quella occidentale, poiché è quella esposta di fronte al sole. E che solo da quella, da centinaia di anni, all’alba di ogni mattina, gli indù iniziano a compiere cerimonie rituali dai ghats. Dal fiume possiamo vedere le donne, elegantissime nei loro sari intessuti con ricami d’oro, apprestarsi a offrire alla divinità le loro offerte. In acqua i loro abiti aderiscono al corpo, evidenziando le forme. Ma loro non se ne curano e, chiudendo gli occhi, uniscono le mani sulla fronte o sulle labbra e si immergono. Lo fanno tre volte. O anche più. Ma tre è il numero perfetto. La prima immersione è per la madre, la propria genitrice; la seconda è per la propria guida spirituale, il proprio guru; solo la terza, l’ultima, per la divinità. Per un indù, la divinità è sempre adorata per ultimo. Ben più importante è la figura del maestro senza il quale nessun indù potrà mai essere condotto al dio! Ci spiega Sergio con un sorriso compiaciuto, nel suo italiano insolitamente forbito. E ancora il suo nome stride e mi confonde. Trovo difficile coniugare quel nome con il paesaggio circostante. Mi limito ad una corrucciata sorveglianza di ogni più piccolo movimento intorno alla barca. Di tanto in tanto una increspatura, come una serpe, corre lungo la chiglia destandomi dai miei pensieri assorti.

Varanasi adorazione del sole

Continuiamo nel nostro lento scivolare mentre la città incomincia ad animarsi e il sole diventa più luminoso squarciando la sottile nebbiolina che aveva avvolto fino a pochi attimi prima la città sacra in un color cenere. Davanti al labirinto di stradine, agli splendidi palazzi ormai sbrecciati e decadenti, e ai tanti tempietti dai rossi scarlatti e azzurri vividi, le rive del Gange traboccano di un’umanità che, con sguardo estatico, beve e si bagna per lavarsi dai peccati compiendo la puja (i riti purificatori), ma anche più prosaicamente si insapona le vesti, si lava i denti e i capelli. Tutte attività svolte con impegno supremo e ieratica serenità in quel magma melmoso in cui galleggia ogni cosa. La poesia visiva delle donne che scompaiono sotto la superficie del fiume per poi riemergere illuminate da mille goccioline d’acqua, l’incanto del sole nascente, tutto si perde man mano che ci avviciniamo alle sponde e la vivida luce del giorno illumina ogni cosa. Ogni genere di pattume e di sudiciume attornia la folla brulicante immersa nel fiume.

Varanasi abluzioni
Varanasi folla sui ghats

Ma lei ne sembra immune o distratta, per così dire. Uomini e donne, anziani e giovani continuano a raccogliere l’acqua dal fiume con le mani e versarsela sul capo oppure, attraverso le dita, la fanno ricongiungere con la Grande Madre. O, infine, riempiono piccoli contenitori di ottone o di rame che, finita l’abluzione, viene portato al tempio. Eppure, al di là delle condizioni igieniche in cui questa cerimonia si svolge, tutto assume cognizione e senso se si pensa di come ogni cosa a Benares sia misticismo rivolto all’unica vera aspirazione di ogni indù: la liberazione dal samsara! Termine sanscrito che vuol dire “scorrere insieme”, indica il ciclo di vita e di morte che si ripete per un numero indefinito di volte imprigionando le anime. Solo quando si è riusciti ad estinguere il proprio debito karmico è possibile raggiungere il moksa, la liberazione, ovvero la definitiva uscita dal samsara per realizzare dentro di sé l’unità di Ātman e Brahman. L’Essere e il Non-essere, immanente e trascendente, tutto e nulla allo stesso tempo. Non è forse lì tutta la loro felicità, la loro unica realtà? La liberazione dal passato e da tutto quello che rimane di esso.

Varansi preghiera e abluzione
Varanasi piccoli bramini crescono

La barca raggiunge i gradini di pietra grigia e noi scendiamo salutando Sergio con una vigorosa e occidentale stretta di mano. Sergio si toglie il cappello e lo fa fluttuare davanti al viso come una farfalla bianca che voli su e giù. Penso, per non so quale ragione, che presto raggiungerà il suo moksha, e lo farà certamente privo di quel nome italiano così inappropriato per i devoti di Shiva e Parvati. Raggiungerà la sua liberazione con il più altisonante vero nome indiano. Che sia Jagadeesh o Rajiv, Sukhdev o Vipinbehari, poco importa. Poi, dopo i saluti, si allontana. Lo scorgo per l’ultima volta inghiottito dalla folla. Un’ombra ondeggiante sul suo dorso si spande in larghe e irregolari macchie tremolanti. È un corpo con quattro braccia che danza e lo avvolge dolcemente in un arco di fuoco.

Varanasi ghats

Varanasi abluzioni 2

INCANTOerrante testo e foto

 

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