Di Paola Casulli |
Gli inglesi la chiamarono “the female Chaplin”, la Charlot al femminile.
E pare che lo stesso maestro del muto dicesse di lei “She’s the actress I admire the most”. “È l’attrice che ammiro di più”.
John Travolta decise di voler fare l’attore quando la vide recitare nel film “La Strada”. Il ruolo per cui lei divenne famosa e che permise al marito di vincere il primo Oscar nel 1957.
Lei è Giulietta Masina
in cui questo 2021 celebra i 100 anni dalla nascita
(22 febbraio 1921)
e il consorte è ovviamente Federico Fellini, il grande amore, l’unico, magnifico, irripetibile, e assoluto.
Almeno per lei che infatti rivestirà il ruolo di consorte devota, brava a incassare i tradimenti seriali.
Ma a parte le scappatelle e una storia matrimoniale tra passione e gelosie, sono stati insieme 50 anni tondi tondi.
Si incontrarono e si sposarono nel 1943, lui aveva 23 anni, lei 22.
Fellini se ne andrà a nozze d’oro compiute, il 31 ottobre 1993.
Aveva sempre detto:
«Il nostro primo incontro io non me lo ricordo, perché in realtà io sono nato il giorno in cui ho visto Giulietta per la prima volta!»
Lei gli sopravvivrà solo 144 giorni e si farà seppellire con lo stesso vestito che indossava la sera degli Oscar al Dorothy Pavillon.
Giulietta Masina, negli anni del dopoguerra, quelli in cui il cinema italiano presentava attrici dalla recitazione forte e gridata e dalla fisicità prorompente e sensuale, da quella di Anna Magnani a Silvana Mangano, da quella di Gina Lollobrigida a Sofia Loren, era fisicamente minuta e delicata. Caratterizzata da un talento mai sfacciato, era comunque una donna dal carattere forte, affascinante e complicato.
Il cinema italiano la ricorda tra le protagoniste assolute di un’epoca che traghetta Cinecittà da produzioni cinematografiche nazionali allo splendore internazionale.
Sicuramente una delle attrici più premiate della storia del cinema mondiale,
diretta dai maggiori registi italiani e stranieri.
Fra tutti ricordiamo Roberto Rossellini (Paisà, 1946);
Alberto Lattuada (Senza pietà, 1948) e
Luigi Comencini (Persiane chiuse, 1951).
Realizza una trentina di film, sette dei quali insieme a Fellini.
Il primo con il regista fu il ruolo della prostituta Cabiria nel “Lo sceicco bianco” (1952).
L’ultimo è stato “Ginger e Fred”del 1986, la storia di due anziani ex ballerini di tip-tap, al fianco del grande amico Marcello Mastroianni, in cui Masina tornò a lavorare con il marito a vent’anni dal clamore di “Giulietta degli spiriti”, girato invece fianco a fianco con una delle amanti storiche di Fellini, Sandra Milo.
Di tutti i personaggi che ha interpretato nella sua lunga carriera
il più emozionante rimane quello di Gelsomina in “La strada”.
Uomo di natura violenta, Zampanò (Anthony Quinn) si esibisce nelle piazze e nelle fiere di paese come mangiatore di fuoco. Da una povera contadina carica di figli compra per diecimila lire Gelsomina (Giulietta Masina), una ragazza ingenua e ignorante, per usarla come spalla nei suoi spettacoli. Gelsomina, creatura angelica e sensibile, tenta invano di fuggire da lui che la maltratta continuamente. Viaggiando per l’Italia, Gelsomina conosce il Matto (Richard Basehart), strana figura di equilibrista girovago mite e gentile che non perde occasione per deridere e umiliare Zampanò. Questi in un litigio involontariamente lo uccide. La tragedia fa uscire del tutto di senno Gelsomina, turbata giorno e notte dal ricordo del Matto. Zampanò allora l’abbandona, continuando la sua vita di vagabondo e temendo di essere scoperto e arrestato. Alcuni anni dopo scopre per caso che Gelsomina è morta e improvvisamente prende coscienza della sua solitudine, abbandonato da tutti piange su una spiaggia deserta.
Il film, che vinse il Premio Oscar nel 1957 come “Miglior film in lingua straniera”, venne presentato alla 15ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove subì aspre critiche dalla “sinistra”, perché accusato di aver abiurato il realismo e aperto alla favola e allo spiritualismo.
Durante la sera della premiazione a Venezia, la scelta della giuria di ignorare Senso e dare un premio a La strada scatenò una bagarre fra i sostenitori di Luchino Visconti, tra cui Franco Zeffirelli, e quelli di Fellini.
Vera e propria favola circense, cupa e tetra in bianco e nero; narrazione discreta e leggera, il lungometraggio è una lezione sulla redenzione di una coscienza dura, scettica e cinica che si piega alla purezza d’animo, alla semplicità e all’innocenza.
E se Gelsomina è l’innocenza, il candore;
Zampanò è il bestiale nell’uomo,
il Matto è la rivelazione;
è la comicità e per assurdo colui che rivela
La strada che Gelsomina dovrà percorrere.
«Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro. Tu non ci crederai, ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso li, per esempio.»
«Quale?»
«Questo. Uno qualunque. Be’, anche questo serve a qualcosa: anche questo sassetto.»
«E a cosa serve?»
«Serve… Ma che ne so io? Se lo sapessi, sai chi sarei?»
«Chi?»
«Il Padreterno, che sa tutto: quando nasci, quando muori. E chi può saperlo? No, non so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle. E anche tu, anche tu servi a qualcosa, con la tu’ testa di carciofo.»
INCANTOerrante