Leonardo scriveva che il buon pittore deve rappresentare essenzialmente due cose: il personaggio e ciò che egli pensa”, “l’omo e il concetto della mente sua”.
È così per Federico Preziosi, buon poeta, che tratteggia le sue figure in modo che non stiano lì solo per rappresentare una condizione, una qualche qualità, ma con il chiaro intento di svelarci il loro pensiero che altro non è che il pensiero del poeta stesso. E se la condizione è quella del femminile, il pensiero è quello ambivalente del mettere in parallelo i due tabù arcaici: l’appropriazione fisica e poi simbolica del potere della madre. Un pensiero peraltro scevro da emozioni che stentino ad affrancarsi dalla tutela della ragione, per quanto i conflitti permangano.
“E sentivo atavico il desiderio di ricongiungermi al tutto:/sarà per questo che ho amato resistere”.
Ci muoviamo nella sfera naturale dei moventi spinoziani, nel volere come potenza riferito alla mente è nell’appetire come sforzo riferito a mente e corpo. Un’origine duplice, tra significati e sensi, da cui nasce ruvida e umanissima, questa sbalorditiva figura di madre. Le sue metamorfosi, i suoi errori, le sue ambiguità, i suoi compromessi, le sue complicità in storie scandite da una inquadratura radente verso il nucleo materico di un’epica quotidiana, dolorosa e densa.
Nulla di ciò che accade tra queste pagine accade in opposizione tra parola e silenzio, dove il silenzio non è quello “prudente e cauto, santuario della saggezza”, ma si fa culla per la verità in sé. La donna di Variazione Madre, prima ancora della madre, ha una tensione inquieta, non perde la loquacità perché considerata un’insidia per la vita senza peccato, ma anzi costituisce un atteggiamento costruito su stratificazioni e accumuli di una parola poetica vitale, intesa come suono, gesto, oralità, corporeità, per poter raccontare con maggiore verità il riflesso delle cose, una chiara e distinta natura, come la donna è e come dovrebbe agire in una necessità di cammino verso il conosci te stesso.
“Non pensavo poter essere madre…/… Sbocciai come donna, senza essere madre pronunciando le labbra al sentire carnale…/… Sentivo parlare il corpo ed il frutto infine venne il principio di tutto…/…Essere una madre e una donna una sola cosa”
Conosci la tua propria natura, o potenza. Il cammino di conoscenza dall’essere prima donna e poi madre, lungi dal portare al perfezionamento, porta però al raggiungimento del proprio destino, del proprio dàimon, inteso come essenza stessa dell’anima.
Un’etica, questa di Preziosi, ispirata alla natura-logos, con strumenti intellettivi inclusi nella struttura emotiva della personalità. Dove per emotivo o emozione si intende indifferentemente anche la passione o il sentimento, fermo restando dal punto di vista psicologico la grande differenza delle definizioni di emozione e sentimento.
“Divenni Figlio, Amore e infine Donna”.
Una poesia che ha le sue radici nella condizione di essere creaturale, nell’opzione che si installa nelle fessure dell’essere spezzato e plurale e lo restituisce nella sua integrità. In un tricotomismo che si può qualificare come corpo, anima e coscienza di sé. Dove donna è il nous legato alla funzione profetica, di precursore che attende e postula ciò per cui esiste e ciò a cui aspira,
“Dinanzi al lui, non volevo fossi io.” Oppure, “resto anonima, ma per te, il mio nome è uno.”
e, quindi, in un certo senso, attrae l’evento.
“Quanto lieve l’atroce sentirsi perdutamente in divenire”
La persona, in quanto donna, è il principio di integrazione che produce l’unità di tutti i piani, una reciproca immanenza cosicché il corpo si spiritualizza e l’anima vive il corporeo. La Madre raccontata dal poeta è il prosopon dell’aspetto psicologico di un essere rivolto verso il proprio mondo interiore, che segue l’evoluzione, passa attraverso le età della propria conoscenza e i gradi di appropriazione della natura di cui è portatore. Fino alla funzione sacra di Essere tellurico, dove la donna viene assimilata alla terra e considerata espressione vivente della sua stessa fecondità; abitata da potenze oscure e terribili, segnata da impulsi aggressivi, trafitta da traumi e conflitti, che divora ed è divorata, essa è tuttavia l’elemento che genera la vita. La Madre di Federico Preziosi, si attesta come lo strumento attraverso cui sopravvive l’antenato totemico e grazie al quale può essere superato il tempo. Nella donna-madre, nella scrittura perturbante di Variazione madre, forse non si prolunga la natura, ma dal corpo femminile, pur lacerato e mutilato, emanano misteriosi effluvi che rendono fertili le fonti segrete della vita.
“…Io sacra Io profana Io succube Io devastata / Io detergo dei desideri un pezzo… / …Io lurida Io sporca come la prima sera / che da sotto la sottana morde e nega.”
Qui il maschile è annientato, o perlomeno è sospeso dall’influenza che esercita sulla über Ich, la coscienza collettiva, con il suo bagaglio di atavismo familiare, razziale, culturale e sociologico. Wilhelm Bousset proclama che la donna è soltanto “un osso in sovrannumero, una porzione di Adamo e una specie di diminutivo”. A questo uomo creatore, all’uomo che forgia l’avvenire, Preziosi antepone l’immagine illuminante, gotica e caustica della donna-madre come oggetto di potenze oscure, impura nella propria natura, quanto candida e ferita, ma anche mistica e ascetica. La Theotókos, di una narrazione laica, che offre la carne in cui viene a porsi il contenuto, la parola, la potenza, l’atto. Questa madre opera incursioni in scenari allucinati, istantanee di mondi compromessi ma riconoscibili come immagini labili che giocano con la dissolvenza. Sono spazi narrativi diafani, ingannevoli. Luoghi di miraggi en trompe l’oeil illusori ma fortemente percettivi che è mediazione visiva di personalità lacerate nel profondo.
I monologhi lucidi, che scandiscono la raccolta con versi lunghi dal respiro prosastico o spezzati in frammenti ritmici, sono la chiave d’accesso a una ricerca linguistica di assoluta densità. Così come l’intensità dell’impatto percettivo esprime nella scrittura di Preziosi, sempre in bilico tra interiorità e resa fenomenica, il bisogno di radicarsi al “qui” e all’”adesso” sospendendo lo stravolgimento dello sguardo da assorto incantamento a concretezza visionaria dell’astrazione.
L’assolutezza e la rarefazione del linguaggio, pur di un retaggio ermetico e con richiami estetizzanti, trasforma la distanza in vicinanza, l’alienazione in realtà circostanziata per rendere affatto innocua la carica eversiva e liberatoria della parola. Uno stile forse impermeabile alle definizioni tanto il poeta Preziosi ripulisce la parola da una spazialità miniaturizzata per renderla enfatica e ipnotica. Attraverso ambiguità e ambivalenze che ribaltano figurazioni straniate, geometrie controllate e sospese per accogliere un verso teatralizzato e funambolico dove la rivelazione di sé, come madre, eclissa definitamente il soggetto lirico di chi scrive a favore di una estremizzazione dove il travestimento dell’Io personaggio occupa tutta la scena. Un verso a mio parere dunque orfico, decadente, intimista della poesia, da un lato, e forte di un dinamismo che articola il linguaggio in polifonia, un sapiente montaggio di voci e punti di vista che supera i confini tra i generi ricavando una poesia che, alla scoperta del corpo e del significato di madre, si ibrida sul farsi spazio al frammentarsi del soggetto, a suggestioni oniriche, pulsioni psichiche e erotiche, traumi irrisolti, affioramento dell’inconscio, realismo psicologico, a quella fenomenicità spoglia del proprio proporsi. Polarità risolte con la potenza di un magma verbale di innegabile incisività in cui la frantumazione del tempo è ricomposizione in unità. Dove il viaggio erratico, deterritorializzato e nomade, è ricomposto nel verso alla ricerca di un altrove dove la madre va al di là del proprio essere, il suo carisma di espansione la fa guardare al di là di se stessa.
Quella che la vecchia religiosa ne I Demoni di Dostoevskij dice che è “l’umida terra”, non facendo altro che designare questo elemento della maternità nel suo aspetto cosmico di terra madre, dell’anima che genera i cosmi. La forza femminile che accorda e sublima ogni istinto di vita.
Paola Casulli
@IncantoErrante